Dalle poche tracce di segni che si vedono prima della lacuna la lettura migliore sembrerebbe MU[NUS].LU[GAL], che resta comunque molto incerta, dal momento che a logica ci aspetteremmo che a pronunciare l'invocazione sia il LÚḪAL.
Si può suggerire che soggetto del verbo memāi sia il LÚḪAL, che sarebbe quindi da integrare in lacuna. Questa supposizione scaturisce anche dal confronto con altri rituali di evocazione dove il sacerdote che celebra, pronuncia anche l'invocazione alla divinità per la quale il rituale viene celebrato.
Diversamente Forlanini 2000, 11 che fa corrispondere KBo 2.36, 2' a KUB 15.35 Ro I 21.
Si noti come A. e B. omettano la linea di paragrafo, rimarcando l'appartenenza ad una versione diversa rispetto a B.
Il confronto fra KUB 15.35+ e KBo 2.36, entrambi piuttosto lacunosi, sembra suggerire che quest'ultimo aggiunga una riga in più, riportando cioè tre forme verbali per l'evocazione della divinità, e non due soltanto come in KUB 15.35+, dove fra tall[iškimi] e l'inizio del periodo alla riga successiva non sembra esserci spazio sufficiente per l'inserimento di un terza forma verbale. Successioni delle stesse forme verbali sono note anche in altri rituali di evocazione, per cui cfr. KUB 15.31 Ro I 47-48 = KUB 15.32+ Ro. I 50-51 oppure KUB 15.34+ (CTH 483) Vo IV 41, oltre che Vo IV 20, seppur in contesto lacunoso, ma riscostruibile con certezza grazie al confronto con i duplicati (cfr. F. Fuscagni, in preparazione).
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Su tiwaliya- cfr. Melchert 1993, 229 che seguendo Starke 1990, 147, interpreta il termine come un aggettivo con suffisso -iyo- derivato dal nome luvio per la divinità solare DTiwat- e traduce “of the Sun(-god)”. Potrebbe, quindi, essere inteso come una sorte di appellativo, da tradurre all'incirca come “splendente, luminosa”, oppure di un'invocazione rivolta alla dea Ištar, che potrebbe corrispondere all'italiano “Gloria, Alleluja!”. La successiva presenza di kaša=tta che segna l'inizio di un nuovo periodo, potrebbe essere indice del fatto che il sintagma ti-u̯a-li-i̯a DIŠTAR ⌈ URUNi⌉-nu-u̯a rappresenti un complesso a sé stante, rafforzando, quindi, la possibilità che ti-u̯a-li-i̯a sia da considerare un appellativo.
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